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Teatro ragazzi Didattica

 


Teatro Ragazzi è relazione dono e scambio

Disponibile a breve anche tramite podcast.  

Il teatro non esiste se non c’è almeno un attore che recita, ovvero agisce, e almeno uno spettatore che assiste. A ben guardare, questo assunto (da tutti conosciuto e accettato) veicola un messaggio davvero profondo. Il teatro non vive se non c’è almeno una persona che dona qualcosa di sé a un’altra persona, la quale dev’essere pronta ad ascoltare e accogliere questo dono. L’arte scenica dunque si qualifica con estrema immediatezza in qualcosa che ha ragion d’essere solo nella relazione fra almeno due esseri umani, l’uno pronto a dare, l’altro pronto a ricevere. Il secondo poi restituirà empatia, partecipazione, risate e altro che nutriranno man mano la scena del primo, in un circuito virtuoso di autentica relazione fra i due. È come quando racconti qualcosa a un amico. Se questi ti ascolta con attenzione ed empatia, riuscirai a raccontare meglio, aprendoti sempre più e scoprendo cose di te che neppure sospettavi. Se invece l’ascolto è superficiale, distratto, approssimativo, ecco che anche il racconto perderà vitalità e soprattutto tu perderai la voglia di continuarlo fino in fondo. Ecco uno dei continui rimandi alla vita reale che faccio spesso ai miei ragazzi mentre conduco il laboratorio teatrale, per condurli sempre più all’assunto per il quale fare teatro implementa in ciascuno di noi abilità essenziali per l’esistenza.
Il dono che un attore fa a uno spettatore è la recitazione. Ora, questo dono può essere bello, spumeggiante, divertente, buffo, emozionante… ma anche lento, noioso, ripetitivo. Esattamente come quella volta in cui la zia ti ha regalato la stessa identica tazza della colazione che ti ha donato lo scorso Natale (altro esempio che riporto spesso ai ragazzi). Un regalo ripetitivo, al quale puoi solo rispondere con un grazie stentato e un sorriso forzato. Esattamente come accade, a volte, persino ai grandi attori che si fanno prendere dall’estro del momento e realizzano una recitazione ricchissima ma eccessiva, la quale rischia di risultare ridondante, ripetitiva, altisonante e francamente noiosa. 
Da cui allora la necessità, mentre si prova uno spettacolo, di scendere dal palco ovvero metaforicamente “scendere dal piedistallo” nel quale a volte ci accomodiamo, tanto compiaciuti del nostro talento. L’attore che recita, mentre prova e riprova la propria performance, dovrebbe quantomeno tentare di mettersi nei panni dello spettatore, non solo del personaggio che sta interpretando. E verificare se il dono che sta per fare a quest’ultimo gli sarà gradito oppure no. Scendere dal palco e andare in platea a osservare il lavoro da fuori, da un altro punto di vista, significa avere il coraggio di mettersi in discussione, cambiare, limare. Anche tagliare, se necessario. Solo in questo modo la comunicazione sarà efficace e in grado di garantire la piena e autentica soddisfazione tra i soggetti interessati. Quel rapporto vero, profondo e arricchente che il teatro ha tutte le carte per donarci.

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