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Teatro ragazzi Didattica

 


Fare teatro con i ragazzi costruisce comunità sane

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Nulla come ciò che accade durante un laboratorio teatrale lavora su percezione e consapevolezza del senso di comunità. Sul fatto che, volenti o nolenti, qualsiasi azione che compiamo o meno si riverbera sul gruppo del quale facciamo parte e siamo tutti chiamati a essere responsabili gli uni degli altri. Vediamo come.
Nel laboratorio teatrale gli individui di qualsiasi età, livello culturale, estrazione sociale, si trovano a lavorare insieme. Scevri da “maschere sociali” o ruoli imposti dalla società (qualora si tratti di adulti), lontani da banchi, libri o quaderni se lavoriamo con ragazzi, ecco che ciascuno ha finalmente la possibilità di esprimere il suo vero io, non più prigioniero di forzature sociali e comportamenti restrittivi spesso anche auto-imposti. Tuttavia, la singola libera espressione non deve mai andare a sovrapporsi prepotentemente su quella degli altri, accaparrandosi tutto lo spazio e l’ascolto dei partecipanti; costoro, difatti, hanno gli stessi identici diritti dell’estroverso del gruppo che non la smette di fare battute (giusto per fare un esempio). Ecco quindi che il soggetto più esuberante pian piano riuscirà a contenere la necessità di parlare o commentare in continuazione. Possiamo affermare che sarà inevitabile, visto il rapporto che instaurerà con ciascuno degli altri e il comune desiderio che tutti si esprimano al meglio. E se stiamo lavorando con bambini o ragazzi, accadrà esattamente lo stesso: Marco, nome di fantasia, interromperà il dondolio della sedia appena il gioco che tutti stanno facendo con grande divertimento si arresterà. “Ragazzi, aiutiamo Marco a non mettersi in pericolo con quella benedetta sedia”, dico spesso ai miei allievi. “Se tutti smettiamo di giocare è perché  siamo responsabili di lui e di cosa potrebbe accadergli. Non possiamo riprendere finché il nostro amico non è perfettamente in sicurezza”. I bambini comprendono e osservano l’amico mostrando nello sguardo un senso di cura nei suoi confronti, giammai il rimprovero. Marco, dal canto suo, prende coscienza del comportamento disfunzionale e lo abbandona, se non altro per il desiderio di far continuare a tutti il gioco espressivo che li stava tanto divertendo.  Ho assistito, in questi anni, a decine per non dire centinaia di episodi come quello appena narrato. Centinaia di occasioni nelle quali il comportamento del singolo si è modificato non grazie a un rimprovero o all’esclusione dal gruppo, ma in virtù dell’aver preso coscienza che una determinata azione non era il bene delle persone accanto. 
Tra le innumerevoli definizioni che potremmo dare dell’arte scenica, una di esse è certamente il fatto che a teatro vi sono persone che insieme trascorrono un pezzetto delle proprie vite, condividendole profondamente e pienamente. E nulla come lo spazio scenico tira fuori la parte migliore di ciascuno, quella in grado di rendere felici noi e chi ci sta accanto. Permettiamo dunque sempre più al teatro di veicolare il modo nel quale condurre al meglio la nostra esistenza, inevitabilmente connessa a quella degli altri.

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