Teatro Ragazzi – Zero egocentrismo e tanta umiltà
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Prima lezione universitaria di Storia del Teatro risalente a tre decadi or sono, tenuta dal professor Luciano Mariti, poi relatore della mia tesi di laurea.
Un venerdì mattina di ottobre, Teatro Ateneo dell’università Sapienza, davanti a una folla di ventenni con la testa e il cuore colmi di sogni e grandi speranze, il professore disse una cosa che non ho mai dimenticato: “Innumerevoli sono stati finora gli studi sul teatro e sulla definizione che si può dare di esso. Illustri intellettuali, critici, registi, attori hanno tentato di definire l’arte scenica, con risultati più o meno soddisfacenti ma comunque ogni volta parziali. Ma c’è una cosa sulla quale siamo tutti d’accordo: il teatro esiste quando c’è almeno un attore che agisce e almeno uno spettatore che guarda”.
Attraverso il mio personale percorso di studi, tra corsi, master, laboratori e workshop intensivi, poche frasi mi sono rimaste impresse come questa, per quanto semplice.
Il teatro esiste quando c’è un attore che agisce e, aggiungo, dona qualcosa di sé a qualcuno che guarda, ovvero riceve il regalo rimandando (volente o nolente) una reazione, la quale comporta partecipazione, condivisione, emozione, risate ma anche noia, insofferenza, irritazione, a seconda di cosa gli susciti l’azione e le parole pronunciate dall’attore o dall’attrice. Quindi, per quanto ci si possa preparare con prove estenuanti, dizione perfetta, gesti puntuali, postura sopraffina, espressione mimica ed emotiva nella dinamica con gli altri attori, lo spettacolo di fronte al pubblico sarà sempre fonte di piccoli o grandi cambiamenti, di messa in discussione, di modifiche, ampliamenti o scene da eliminare. Perché l’essere umano è in perpetuo movimento e il porsi in relazione dovrebbe servire proprio a questo: a renderci persone migliori, a eliminare i dettagli in eccesso approfondendone altri; ad ascoltare e ascoltarci, rendendo sempre più funzionale il nostro intervento. Che sia uno spettacolo o una conversazione con un amico, poco cambia nella qualità del nostro “stare” insieme agli altri e del costruire relazioni autentiche. E il Teatro Ragazzi ha tutte le carte in regola per allenare a ciò l’età evolutiva, in modo che per tutta la vita i nostri giovani si ritrovino sufficienti competenze atte ad abitare armoniosamente se stessi e costruire autenticità con gli altri.
Facciamo un balzo avanti nel tempo e arriviamo ad aprile 2025.
Porto in scena una commedia scritta interamente con il contributo dei tredici attori adolescenti che la reciteranno. Ho dato loro ampia libertà, ancora più del solito, di esprimere idee, pensieri, ragionamenti, emozioni. Ma è solo all’indomani della performance di fronte al pubblico che uno di loro, Lorenzo (nome di fantasia) afferma di essersi accorto che il finale non funziona come avrebbe dovuto e che l’idea che aveva sfruttato è buona ma deve essere veicolata diversamente.
Mentre provavamo, avevo percepito una sensazione simile, ma quanto sarebbe stato diverso per Lorenzo se la sottoscritta, “dall’alto”, gli avesse suggerito cosa e come modificare, invece di lasciare che fosse una sua scoperta grazie al rapporto con il pubblico.
Ecco quindi che traggo da ciò un invito ad auto allenarsi costantemente a quella chiamo rinuncia all’egocentrismo e dal credere di essere perfetti; a percepire le reazioni altrui e lasciare che esse penetrino e costruiscano.
Nessuno di noi ha già compiuto interamente la propria strada. Possiamo sempre migliorare e solo insieme ai nostri allievi riusciremo a farlo.
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