Teatro Ragazzi – Importanza di mettersi nei panni dello spettatore
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Numerosi attori, registi e drammaturghi di varie epoche storiche hanno spesso sottolineato l’importanza del laboratorio teatrale all’interno degli istituti scolastici affinché fosse alla portata delle giovani generazioni. Tra i vantaggi, vi sono il migliorare l’apprendimento di materie quali letteratura, storia, scienze o filosofia, al potenziare le abilità dialogiche, il public speaking e la corretta dizione, così come l’ampliare il lessico e la pragmatica, l’allungare i tempi di attenzione e il bagaglio mnemonico. Credo possiamo davvero dirci tutti d’accordo nell’affermare che l’arte scenica sia uno strumento sopraffino per lavorare su tutto questo e tanto altro ancora.
Negli ultimi anni, inoltre, a causa di spiacevolissimi fatti di cronaca, si è spesso affrontato l’argomento della mancanza di empatia (a volte) nell’adolescenza. Di conseguenza, nell’affrontare il ben doloroso fenomeno, eminenti psicologi, educatori, medici e terapisti si sono trovati ulteriormente d’accordo nell’affermare che nulla quanto il teatro stimoli l’attore o attrice a “mettersi nei panni dell’altro” dovendo giocoforza interpretare personaggi sempre differenti dalla propria realtà.
Eppure, le immense possibilità del Teatro Ragazzi non si fermano qui.
Uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, Luigi Pirandello, soleva scrivere le sue commedie scena per scena, nella solitudine del proprio studio. La sera si recava alle prove della compagnia e assisteva al modo in cui gli attori interpretavano i personaggi che aveva creato. Dalla visione della messinscena modificava il testo, arricchendolo o scremandolo, perché il teatro è qualcosa che vive, che si incarna, e neppure un genio come lui poteva prescindere dall’attore o attrice che recitava la scena. Ma il lavoro non terminava lì. Pirandello era solito sostenere che l’ultimo elemento fondante del teatro è il pubblico. Pertanto, nella prima settimana di repliche del nuovo spettacolo, il celebre scrittore sedeva tra le file degli spettatori, annotando le reazioni di questi ultimi alle varie battute, alle entrate in scena e ai personaggi. E continuava a modificare il suo scritto. Il che ci rimanda ancora una volta all’intima, profondissima connessione che si crea a teatro tra attore e spettatore, tra spettacolo e coloro che vi assistono.
Ecco perché nelle settimane in cui mi trovo a creare una drammaturgia insieme ai ragazzi che la reciteranno, li invito sempre a mettersi dal punto di vista dello spettatore. A chiedersi se ciò che hanno narrato fino a quel momento rimanda il messaggio che intendevano; se quel dato personaggio ha mostrato al pubblico la motivazione di ciò che fa o che dice; se invece non siamo stati ridondanti, ribadendo troppe volte lo stesso concetto, che pertanto potrebbe iniziare ad annoiare chi guarda.
Mettersi nei panni dell’altro, non è solo interpretare il personaggio. È anche operare una rotazione di 180 gradi per scendere dal palco alla platea e così cambiare punto di vista indossando per un momento i panni dello spettatore. Questo continuo esercizio non contribuisce solo alla riuscita della performance. Lavora su aspetti ben più profondi e importanti: sull’aver sempre presente che la recitazione è un dono per chi vi assiste e come tale dev’essere fruibile e sull’allenare gli attori a prestazioni, verbali e motorie, sempre più chiare e funzionali. Tale addestramento entrerà a far parte della vita di ciascuno, della sua quotidianità. Forse ciò diminuirà, almeno in parte, il “non comprendersi” e il “non ascoltarsi”. Oltre alle cause di incomprensioni, rotture e litigi.
Facciamo teatro, dunque. Facciamo teatro e non mettiamoci solo nei panni del personaggio. Anche in quelli dello spettatore.
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