Laboratorio teatrale per bambini - Consigli sulla conduzione
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Un paio d’anni fa, nella pausa tra una lezione e l’altra, all’interno di una scuola dove conducevo un laboratorio teatrale, una giovanissima docente mi chiese di poter utilizzare l’aula prima del mio consueto appuntamento con i ragazzi. “Certo che sì”, risposi prontamente. Così, mi misi da parte a raccogliere le idee e lasciai lo spazio alla collega, che venne presto raggiunta da un gruppo di preadolescenti.
Quel che vidi e ascoltai, una manciata di secondi più tardi, mi ricordò me stessa nei primissimi anni di questo splendido mestiere, quando nessuno mi aveva edotta sulla conduzione dei gruppi e continuavo a fare dei prevedibili errori, stancandomi invano, peraltro.
Come capita spesso, i ragazzi parlavano in continuazione, si interrompevano, dialogavano l’uno sopra l’altro. Chiacchieravano a coppie, prendendosi in giro, ridacchiavano. La docente tentò di riportarli al lavoro che avrebbero dovuto svolgere, cambiando continuamente l’obiettivo: in un momento era realizzare lo spettacolo, poco dopo un corto teatrale, che però avrebbe dovuto essere prima di tutto scritto insieme, quindi occorreva lavorare sull’ambientazione... anzi no sull’argomento, ma partendo dai personaggi.
Ci sono passata anch’io. Il caos regnava sovrano insieme a mancanza di pianificazione e certezza sulla strada da intraprendere. A un certo punto l’insegnante, esasperata dal comportamento verbale dei ragazzi, alzò la voce e li apostrofò severamente. Non ottenne alcun effetto, e l’unica strategia che adottò per l’ultima manciata di minuti a sua disposizione fu di alzare la voce ancor più, per sovrastare quelle degli alunni e coltivare l’illusione che “chi urla più forte” venga ascoltato.
Finalmente i ragazzi abbandonarono l’aula, dove tornò il silenzio e la calma.
Un attimo dopo giunsero prepotenti alla mia mente ricordi di scuole, classi, associazioni, teatri, in cui ho fatto esattamente le stesse cose e probabilmente anche peggio. Dentro di me ringrazio le colleghe maestre montessoriane, le logopediste, le psicologhe e tutti coloro che mi sono stati d’aiuto. Ciascuno di loro, in tempi e luoghi diversi, mi ha trasmesso l’importanza del silenzio, del tono di voce sommesso, dell’ascolto. Che il silenzio è spazio dentro di noi. Senza spazio, non può esserci accoglienza dell’altro e delle sue idee. E nello spazio creato dal silenzio impariamo anche ad ascoltare noi stessi prima di tutto. Il respiro, il cuore che batte. I pensieri che affollano la mente, hanno finalmente la possibilità di trovare un ordine e una scala d’importanza.
Mai come in questo momento storico, in cui le giovani generazioni sono bombardate in continuazione da una miriade di informazioni visive e sonore, è fondamentale che noi adulti trasmettiamo loro l’importanza del silenzio, della pausa (sia verbale che motoria). Dell’osservazione, dell’ascolto. E della scoperta.
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