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Teatro ragazzi: empatia e frustrazioni

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Sono certa che tutti coloro che abbiano a che fare con l’età evolutiva (in veste di genitori, familiari, docenti, terapisti, educatori o altro) siano rimasti profondamente colpiti dall’ennesimo episodio di violenza tra ragazzi accaduto in Italia e purtroppo culminato con il decesso di uno dei minori coinvolti. L’argomento è estremamente complesso e non pretendo in alcun modo di fornire interpretazioni o risposte alle tante e dolorose domande che tutti noi ci poniamo su come sia potuto accadere e cosa avremmo potuto fare per impedirlo.  
Ritengo però che ciascuno di noi possa operare una disanima del proprio lavoro con bambini e ragazzi e magari “aggiustare il tiro” per rendere il proprio intervento sempre più efficace dal punto di vista educativo e quindi formativo dell’essere umano e delle relazioni che va a costruire. Inoltre, è sempre importante condividere le proprie scoperte o intuizioni, visto che l’educazione degli uomini e delle donne di domani è qualcosa che interessa (o dovrebbe interessare) noi tutti.
Leggendo i vari articoli che parlavano diffusamente della notizia, la cosa che più mi è saltata all’occhio è il fatto che spesso si è parlato di una “totale mancanza di empatia e di coscienza dell’azione compiuta” da parte dei due aggressori.
A questo punto mi sono chiesta: si può educare l’essere umano all’empatia facendo Teatro Ragazzi? Certo che sì. E forse io stessa posso farlo ancora meglio.
La recente scoperta dei neuroni specchio e del loro funzionamento, offre un’evidenza scientifica alla capacità dell’essere umano di porsi in relazione con l’altro, di sentire quel che sente la persona accanto pur non essendone personalmente coinvolti. Ma l’attivazione dei neuroni specchio e quindi dell’empatia può essere con facilità impedita dalla cultura di un gruppo sociale, di un popolo (Giacomo Rizzolatti lo spiega con dovizia di particolari nell’intervista condotta da Cristina Gabetti e riportata del suo volume A passo leggero). Questa è probabilmente la spiegazione per la quale in tante classi o gruppi di ragazzi accade il fenomeno del bullismo, nel quale una cricca di individui fa suoi i dettami del “capetto” di turno, spegnendo completamente i neuroni specchio nei confronti del ragazzo o la ragazza designati come vittime e pertanto meritevoli di azioni aggressive e meschine.
In tutti questi anni di Teatro Ragazzi ho conosciuto centinaia di bambini e adolescenti. E una delle cose sulle quali ho sempre ritenuto fondamentale lavorare è la tolleranza alle frustrazioni. Non è assolutamente raro vedere un livello bassissimo di autocontrollo e tolleranza agli eventi che non si svolgono come il/la prepotente aveva previsto, e ritengo che questo sia il primissimo elemento sul quale lavorare. Non solo con i numerosi giochi di gruppo nei quali si può perdere ed essere eliminati, ma anche con il conferimento del ruolo tanto desiderato al ragazzo o alla ragazza meno popolari, che magari finalmente avranno un tempo e uno spazio dove poter tirare fuori il proprio talento.
Oltre alla tolleranza alle frustrazioni (che comunque opera sulla costruzione di un essere umano più forte e in grado di gestire gli imprevisti e le avversità della vita, anzi di saperli anche volgere a proprio favore), è necessario spendere ancora qualche parola sull’allenamento all’attivazione dei neuroni specchio. È necessario pertanto esercitare a lungo i ragazzi a instaurare e mantenere il contatto oculare, prima azione necessaria all’entrare in relazione. A seguire, insistiamo con attività che stimolino sempre più l’imitazione, e infine proponiamo il gioco dello “specchio” che si fa a coppie. Stiamo ponendo tutte le condizioni grazie alle quali i nostri possano guardarsi, provare a comprendere i sentimenti dell’altro. Proseguiamo con esercizi quali “il quadro vivente” e chiediamo a chi è rimasto a guardare di interpretare le informazioni non verbali che ci arrivano dalle posture ed espressioni del viso di chi sta in scena. Stimoliamo nei nostri allievi l’osservazione e la riflessione rispetto agli adulti: i professori, i genitori e tutti gli altri. Portiamoli a comprendere che l’essere umano comunica in continuazione e che se saremo in grado di decodificare tale comunicazione e agire di conseguenza, potremo aiutarci l’un l’altro. Non è difficile immaginare una serie di brevi improvvisazioni in cui un attore o un’attrice interpretano la parte del genitore che torna stanco e nervoso dal lavoro e quale può essere la risposta adeguata dell’altro genitore o dei figli. Oppure, se ci sembra il caso, portiamo in scena eventi in cui un gruppo sociale se la prende con un solo individuo, e operiamo successivamente lo scambio dei ruoli. Permettiamo ai ragazzi di tirar fuori le proprie pulsioni negative e aggressive nel contesto protetto del teatro, terminando sempre con un’attività giocosa che alleggerisca tutti ma anche renda esplicito il fatto che quel che accade a teatro non ha alcuna conseguenza nella vita reale.
Ci sarebbe ancora tanto da dire ma per ora mi fermo qui.
Credo sia ormai lampante che con il teatro basta poco e si può ottenere davvero tanto.

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