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Il teatro insegna a cavarsela da soli

La scorsa settimana ho invitato le mamme dei miei piccoli allievi ad assistere a una lezione del laboratorio teatrale. Molto contente dell’opportunità, si sono subito messe in gioco, partecipando in prima persona ad alcune delle attività proposte, che erano gli stessi figli a spiegare loro. Arriviamo quasi al termine della lezione, e quindi al momento preferito di tutti: le improvvisazioni. Ecco che ciascun attore mette in campo le specifiche competenze sulle quali ha lavorato fino a un momento prima, sintetizzandole nella recitazione, e costruendo grazie ad esse e alla propria creatività, una piccola scena. Dopo aver osservato con grande attenzione e divertimento un paio di improvvisazioni, la sorellina di uno dei bambini mi chiede di poter recitare anche lei. Ma certo, rispondo io. La piccola non ha mai fatto teatro, ma l’entusiasmo e la fantasia propria di
qualsiasi bambino suppliscono le inevitabili mancanze tecniche. E andrebbe tutto benissimo, se non fosse per il fatto che vorrebbe una voce narrante a spiegare la situazione nella quale è immerso il personaggio che vorrebbe interpretare. La voce narrante, o il narratore, se preferite. Quante volte nelle recite scolastiche o amatoriali abbiamo assistito a brani letti o recitati da tale ingombrante presenza. Essa risolve gli inevitabili problemi che si pongono in qualsiasi narrazione con un escamotage (come spesso si dice a teatro) ovvero senza una reale operazione di problem solving, senza che le nostre idee trovino una strada per rendere il pubblico edotto degli avvenimenti che precedono la scena. Utilizzare il narratore è come “farsi preparare il terreno” da qualcun altro, far fare a un altro il lavoro sporco, invece di ingegnarsi per trovare una soluzione contestuale e divertente. Giusto per fare qualche esempio, per ovviare alla presenza del narratore, ho utilizzato un nonno che declamava un articolo di giornale; una nonna che leggeva l’incipit del libro a un nipotino; voci dalla radio o dalla tv; due signore pettegole che si narrano gli ultimi avvenimenti; e così via. Vi erano dunque uno o più personaggi e una piccola azione scenica che descrivevano la situazione nella quale poi i personaggi principali avrebbero vissuto le più incredibili avventure. Tornando alla bambina dell’altro giorno, le ho suggerito di cercare con la sua fantasia una soluzione migliore, affermando che di certo era in grado di cavarsela da sola, non aveva alcun bisogno di un narratore a spiegare ciò che il suo personaggio stava per fare. Dopo qualche secondo di riflessione, la bambina ha trovato una soluzione che coinvolgeva totalmente se stessa e non qualcun altro. Inutile dire che fare tutto da sé l’ha resa ancor più soddisfatta della propria improvvisazione. Il teatro ragazzi, ancora una volta metafora della vita, dell’educazione e della maturazione. Anche in queste piccole cose ci può insegnare a ingegnarci, a trovare delle soluzioni, a non aspettare sempre un aiuto esterno o dall’alto. Esattamente come nel percorso di crescita, i nostri bambini dovranno imparare a cavarsela da soli e a chiedere sempre meno il soccorso di mamma e papà. Solo in questo modo saranno poi persone intere, centrate, responsabili, a cui nuove generazioni potranno affidarsi.

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