Teatro ragazzi: allenamento alla vita
La nostra vita: splendidamente imprevedibile, incredibilmente sorprendente, magicamente inafferrabile. Quel posto in cui accadono cose meravigliose e banalissime, casuali e impreviste, di certo inaspettate. Come si fa, allora, a essere pronti? È praticamente impossibile, ed è questo il bello del vivere, l’essere sorpresi quando meno ce lo aspettiamo.
C‘è un modo però per allenarci alle intenzioni, al significato. Allenare il nostro corpo, la voce, la mimica e i gesti a esprimere esattamente ciò che desideriamo comunicare e non qualcos’altro. Questo modo si chiama teatro.
Ho avuto modo di riflettervi un pomeriggio in cui conducevo un laboratorio con quattro ragazzi delle scuole medie. Il gioco che avevo proposto loro è noto: attraversare la stanza camminando con una giacca poggiata sulle spalle, che di volta in volta assumerà connotazioni differenti. I ragazzi pertanto si divertivano a camminare con la giacca divenuta molto elegante, e subito dopo con la giacca che puzza, poi con la giacca incredibilmente pesante quindi con la giacca sgraffignata a qualcun altro. È sufficiente cambiare la connotazione della giacca perché gli attori varino automaticamente la postura, il ritmo, il gesto, la mimica facciale, la velocità della camminata.
Ed è proprio nel bel mezzo di questo gioco, in cui ci divertivamo a trovare caratteristiche sempre meno usuali, che improvvisamente mi accorsi di qualcosa che non funzionava; alla richiesta di indossare la giacca cercando di non farsi notare, due dei ragazzi recitarono una situazione completamente diversa, oserei dire quasi opposta. Li fermai e verificai se avessero afferrato la mia richiesta, il significato delle mie parole. Compresi subito che non era lì il problema e che i due erano assolutamente certi di recitare ciò che era stato chiesto loro. A questo punto entrò in gioco lo specchio. Fermando la scena di tutti, li invitai a essere spettatori dei loro stessi amici e mentre guardarono la performance degli altri, io ripetei esattamente le azioni da loro compiute poco prima. Mi videro, videro se stessi, confrontandosi con gli altri. Compresero immediatamente. Rifecero l’esperienza stavolta in maniera assolutamente congrua. Grazie al “gioco della giacca” poterono sperimentare in prima persona il reale significato delle proprie azioni, osservandosi, osservando gli altri e riflettendo su ciò che il corpo esprime.Visto che era tutto per finta e stavamo solo recitando, ebbero la possibilità di “cancellare” e ricominciare da capo.
C‘è un modo però per allenarci alle intenzioni, al significato. Allenare il nostro corpo, la voce, la mimica e i gesti a esprimere esattamente ciò che desideriamo comunicare e non qualcos’altro. Questo modo si chiama teatro.
Ho avuto modo di riflettervi un pomeriggio in cui conducevo un laboratorio con quattro ragazzi delle scuole medie. Il gioco che avevo proposto loro è noto: attraversare la stanza camminando con una giacca poggiata sulle spalle, che di volta in volta assumerà connotazioni differenti. I ragazzi pertanto si divertivano a camminare con la giacca divenuta molto elegante, e subito dopo con la giacca che puzza, poi con la giacca incredibilmente pesante quindi con la giacca sgraffignata a qualcun altro. È sufficiente cambiare la connotazione della giacca perché gli attori varino automaticamente la postura, il ritmo, il gesto, la mimica facciale, la velocità della camminata.
Ed è proprio nel bel mezzo di questo gioco, in cui ci divertivamo a trovare caratteristiche sempre meno usuali, che improvvisamente mi accorsi di qualcosa che non funzionava; alla richiesta di indossare la giacca cercando di non farsi notare, due dei ragazzi recitarono una situazione completamente diversa, oserei dire quasi opposta. Li fermai e verificai se avessero afferrato la mia richiesta, il significato delle mie parole. Compresi subito che non era lì il problema e che i due erano assolutamente certi di recitare ciò che era stato chiesto loro. A questo punto entrò in gioco lo specchio. Fermando la scena di tutti, li invitai a essere spettatori dei loro stessi amici e mentre guardarono la performance degli altri, io ripetei esattamente le azioni da loro compiute poco prima. Mi videro, videro se stessi, confrontandosi con gli altri. Compresero immediatamente. Rifecero l’esperienza stavolta in maniera assolutamente congrua. Grazie al “gioco della giacca” poterono sperimentare in prima persona il reale significato delle proprie azioni, osservandosi, osservando gli altri e riflettendo su ciò che il corpo esprime.Visto che era tutto per finta e stavamo solo recitando, ebbero la possibilità di “cancellare” e ricominciare da capo.
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