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Teatro terapia: il contrario

Come sono affascinanti i contrari. Il bianco non esisterebbe senza il nero, il rumore non sarebbe assordante senza il silenzio, il vuoto sarebbe triste senza il pieno... e potremmo andare avanti.
Leggendo dal dizionario Treccani, contrario deriva dal latino contrarius, “che sta di fronte”. Se si tratta di un aggettivo, è in opposizione a qualcuno o qualcosa: antitetico, divergente, opposto, incompatibile, inconciliabile; ma anche che ostacola, si oppone, è avverso, nemico, sfavorevole. Tutte parole che rimandano a qualcosa di negativo. Eppure mi ha colpito la parola latina dalla quale deriva: ciò che sta di fronte. Come uno specchio, quindi. E cosa fa uno specchio? Ci mostra chi siamo e come siamo. Allora, forse, in alcuni casi, il contrario di qualcosa potrebbe aiutarci a capire maggiormente la vera essenza di quel qualcosa, a vederla meglio. E' utile, dunque.
E utilissimo mi è stato, venerdì mattina, il contrario di lento, cioè veloce.
A tre bambini affetti da ritardo di linguaggio, che parlano a voce molto bassa, mangiandosi spesso le parole, non riuscendo ad articolare correttamente e a usare i muscoli labiali per l'esatta pronuncia dei fonemi, chiedo di fare un gioco: passiamoci la palla guardandoci negli occhi, pronunciando di volta in volta il nome del compagno a cui intendiamo lanciarla. Già guardare negli occhi per qualche secondo richiede un piccolo sforzo, che si aggiunge alla memoria del nome dell'amico, ed entrambi si sommano al movimento motorio di lancio della palla nella corretta direzione e con la giusta potenza. Quante cose insieme chiediamo di fare ai nostri piccoli amici. Quante competenze diamo per scontate nella vita di tutti i giorni. Non paga di ciò, dopo qualche minuto chiedo loro anche di rallentare la parola detta e pronunciare molto lentamente il nome dell'amico. Ecco che i tre bambini si sforzano, hanno capito cosa voglio e cercano in tutti i modi di accontentarmi, ma purtroppo il loro rallentamento è davvero scarso, e la parola esce dalla loro bocca pressoché uguale a prima. Non so davvero come cavarmela per ottenere da loro un rallentamento senza stressarli troppo, quando il contrario arriva in mio soccorso: veloce è il contrario di lento. Benissimo allora: cominciamo a pronunciare i nome velocemente (che risulta anche molto più divertente) facendo bene attenzione che i nostri protagonisti abbiano chiaro in mente cosa gli sto chiedendo: eseguire lo stesso il gioco nella modalità contraria alla precedente.
Ecco che il contrario compie il miracolo: le parole dette con velocità escono fuori da sole, anche il lancio della palla ha più forza ed è più preciso. E dopo qualche minuto, quando facciamo di nuovo il contrario e torniamo alla lentezza, il loro corpo rallenta il ritmo dell'eloquio e del lancio in maniera del tutto armoniosa, quasi naturale, direi quasi senza sforzo.
Il “veloce” si è messo di fronte al “lento”, lo ha guardato negli occhi, lo ha rinforzato, ha fatto sì che avesse contorni meglio definiti. E ha permesso a loro tre di afferrarlo, di impossessarsene, di giocarci e divertirsi, senza fatica. Proprio ciò che dovrebbero fare i bambini per crescere.

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